90% degli europei utilizzera' tutto il reddito per cibo ed energia - Lancet : tutta colpa dei no vax, vaccinazione di massa

La Giornata oggi inizia bene : "Oggi c’è il rischio di crack tra le società energetiche per la crisi di liquidità causata da normative pensate dopo Lehman, che hanno dato un grande ruolo alle controparti centrali (clearing house) e hanno aumentato il meccanismo delle garanzie".  (Sole 24 ore) Poiché le banche centrali di tutto il mondo aumentano contemporaneamente i tassi di interesse in risposta all'inflazione, il mondo potrebbe avvicinarsi a una recessione globale nel 2023, e a una serie di crisi finanziarie nei mercati emergenti e nelle economie in via di sviluppo, secondo un nuovo studio completo della Banca Mondiale. Prosegue ancora meglio : Allarme della Banca Mondiale – L’economia globale rischia di sprofondare in recessione L'economia mondiale rischia di sprofondare in recessione, avverte l’istituto con sede a Washington, con l'inflazione ai massimi da decenni, l'economia globale che subendo il rallentamento più marcato dal 1970 e la fiducia dei cons...

IL MITO DI RASPUTIN

IL MITO DI RASPUTIN

Dedichiamo questo articolo di questa alla figura del misterioso "santone" Rasputin. 
Dimostreremo che non era solo un mistico "selvaggio", ma anche una personalità intuitiva che seppe svolgere un ruolo positivo all'interno della corte zarista a ridosso della prima guerra mondiale. Dimostreremo come nella caricaturale distorsione della sua figura c'entrano (ancora una volta) gli inglesi, che mal sopportavano l'influsso che il monaco siberiano esercitava sulla famiglia imperiale. Parliamo di Rasputin. 
Nacque in un anno imprecisato dell’Ottocento nella Siberia profonda Grigorij Rasputin: nella terra a ridosso del Polo che nei secoli precedenti aveva rappresentato lo scenario selvaggio della espansione dei Cosacchi verso Est.
Con le sue dodici mucche, con i suoi otto cavalli il padre di Grigorij Efimovitch detto Rasputin a quelle latitudini era a suo modo un benestante: mistico e sensuale come certi russi, nelle notti di inverno spiegava al figlio le parole di Cristo nei Vangeli, ma non prima di aver bevuto qualche litro di vodka per schiarirsi le idee.
Il piccolo Grigorij crebbe con una curiosa vocazione alla santità, mescolata alla voglia di fare le
esperienze più carnali del mondo. 
Il soprannome che gli venne appioppato, “Rasputin”, significava né più né meno che “depravato”. “Santo depravato” è la gustosa definizione che ha coniato per lui Geminello Alvi, autore di un ritratto di Rasputin raccolto in “Uomini del Novecento” (Adelphi, 1995). 

Ma forse la “depravazione” che tanto colpì i contemporanei era il riflesso di una pratica religiosa sui generis, simile a quella maturata all’interno della confraternita esoterica deiKhlysti. 
Fin da ragazzo Grigorij mostrò una scorza dura: un giorno lui e suo fratello quasi annegarono in un fiume. 
Il fratello morì di polmonite a distanza di poco tempo, Grigorij sopravvisse. 
Questo adolescente selvaggio e misterioso manifestava doti di intuizione e se nel villaggio qualche oggetto si perdeva o veniva rubato, Rasputin indicava il luogo dove era nascosto.
 Tranne ovviamente quando era lui l’autore del furto.
Sosteneva di intendere i cavalli e di parlare la loro lingua: quando era ubriaco spesso si lanciava in folli corse nei campi dietro ai cavalli siberiani. 
Per il resto, amava le risse e le bastonate.
 Il fatto che vivesse in Siberia e che a un certo punto gli anziani del villaggio avessero meditato di deportarlo in un’area ancora più estrema della Siberia dà l’idea del suo carattere turbolento.
 Ma in fondo non era cattivo.
A venti anni era già sposato con una donna bionda e molto mite che le diede quattro figli. 
Eppure non si negava amplessi con le contadine. 

Ma quando giunse ai ventotto anni accadde in lui un cambiamento inaspettato per chi non aveva intuito l’indole selvaggiamente mistica del soggetto: Rasputin disse che gli era apparsa la Madonna di Kazan e partì per un pellegrinaggio in un monastero vicino Ekaterinenburg. 
Visitò anche il Monte Athos a ridosso di Costantinopoli.
 Il padre insinuò che ci andava per non partecipare ai lavori estivi nei campi. 
 Tornò invece con i capelli sciolti, cantando inni ortodossi e gettando occhiate magnetiche. 
Su esortazione dell’anacoreta Makarij si recò poi in pellegrinaggio a Gerusalemme per rivivere la passione di Cristo.
Cambiò vita a metà. 
Divenne monaco ma senza legarsi ad alcuna obbedienza monastica.
 Per quattro mesi all’anno, nella stagione dei lavori dei campi, tornava al villaggio; nel resto dell’anno era un mistico girovago dedito alle opere pie … col passare del tempo radunò attorno a sé un curioso “gruppo di preghiera” formato da devote sorelle che non si negavano col monaco alcuna forma di intimità. 


RASPUTIN: VI PORTO LA VOCE DELLA NOSTRA SANTA MADRE TERRA
Rasputin,il rozzo contadino privo di ogni forma di educazione aristocratica, di lì a qualche anno sarebbe giunto alla corte imperiale di San Pietroburgo: lì parecchie nobildonne attratte dal suo fascino si sarebbero gettate con incosciente voluttà tra le sue braccia.

 Circondato dai clamori della sua fama di mistico sensuale, il saggio Rasputin si sarebbe sempre attenuto a un rigoroso criterio di discernimento: scansare le vecchie e baciare solo le giovani. 
Qualcuno ha voluto mettere in stretto collegamento Rasputin con la misteriosa setta dei Khlysti. Volendo rispettare le regole del rigore storiografico non possiamo dare per certa l’affiliazione di Rasputin alla catena dei Khlysti. 
E più in generale non possiamo neppure pretendere di ricostruire con assoluta certezza quali fossero le intenzioni recondite di uno dei tanti movimenti di religiosità popolare della ortodossia russa.
Fatto sta che la Russia, immenso continente sui generis sospeso tra Europa e Asia, nel corso dei secoli aveva elaborato uno spirito religioso fatto di stratificazioni che non si escludevano a vicenda: il paganesimo slavo e vikingo dei primordi entrava in comunicazione con le esperienze sciamaniche dell’Asia Centrale e anche con frammenti di insegnamenti perduti (l’insegnamento manicheo che dalla Persia si era spinto fino in direzione della Cina). 
Il tutto poi si ricapitolava sotto la benedizione di un cristianesimo caldo, che a volte accendeva i sensi a danno dell’intelletto. 
È possibile pertanto ricostruire il fondo di misticismo “eterodosso” del monaco “ortodosso “ Rasputin.

Sette come quelle dei Khlysti conservavano in forma degradata e popolaresca alcuni residui di cerimonie orgiastiche precristiane. 
 Attraverso le cerimonie segrete, i maschi adepti della setta miravano a incarnare in sé l’archetipo del Cristo, le donne quello della Vergine.
 La cerimonia che durava per tutta la notte realizzava la discesa dello Spirito Santo.
A mezzanotte, uomini e donne si ritrovavano in tunica bianca. 
E sotto la tunica niente. 
Iniziava allora una danza in forma di ronda, quella che ancora oggi si osserva in certi balletti russi. Una ronda maschile ruotava in senso orario e una ronda femminile più esterna si muoveva in senso inverso. 
I movimenti circolari concentrici si facevano sempre più vertiginosi finché alcuni componenti si scioglievano dalle ronde e ballavano isolatamente in coppia: quasi ebbri, come i Dervisches della Turchia, cadevano e si rialzavano più volte.
 L’eccitazione cresceva di tono, fino allo scorrere del sangue.
 Gli adepti infatti si flagellavano reciprocamente. 
Poi si toglievano le vesti.
 Al termine della notte, una giovane donna si innalzava su tutti ed era adorata come Dea: incarnazione della Madre dei Viventi e della Terra feconda. 
Neppure è il caso di specificare che la fanciulla si presentava agli astanti completamente nuda, nell’atto di porgere chicchi d’uva come un sacramento.

Il bello è che i Khlysti erano dei moralisti! 
Al di fuori di queste pratiche misteriose dal sapore tardo-gnostico seguivano un rigoroso ascetismo. La liberazione sessuale era rigorosamente limitata all’ambito rituale. 
Rasputin invece non faceva distinzioni troppo sottili tra i vari momenti della giornata, ma la frase che egli un giorno pronunciò lascia intendere che la linea di condotta spirituale seguita dal monaco siberiano fosse molto simile a quella dei “Khlysti”.
 Disse Rasputin: “Sono venuto a portarvi la voce della nostra Santa Madre Terra e ad insegnarvi il beato segreto che ella mi ha trasmesso, la santificazione mediante il peccato”. 
Con questo biglietto da visita a partire dal 1904 Grigorij si presentò alla corte di San Pietroburgo e assunse un posto di primo piano sullo scenario della storia internazionale, al fianco della famiglia imperiale russa.

Anche Rasputin, come i Khlysti, amava danzare: egli prediligeva la musica zigana, quel tipo di ritmo che facilmente portava a un eccesso di frenesia chi si lasciava trascinare da essa.
 Le donne che ballavano con lui “avevano effettivamente il senso di partecipare all’influenza mistica di cui lo starec stesso aveva parlato.
 Il ritmo si faceva sempre più frenetico e si vedeva come il volto della danzatrice si accendesse come il suo sguardo a poco a poco si velasse, le palpebre si appesantissero e alla fine si chiudessero” . Queste osservazioni sono raccolte in una biografia di Rasputin “Le diable sacrè”, scritta a Parigi sul finire degli anni Venti da un autore, Fillop-Muller, che ebbe modo di ascoltare le testimonianze dei numerosi russi che dopo aver gravitato intorno alla corte di San Pietroburgo si erano rifugiati in Francia allo scoppio della rivoluzione.

Alla fine del giro frenetico di danza, Rasputin portava via la donna quasi priva di conoscenza per unirsi ad essa. 
La dama prescelta dal monaco spesso conservava quasi il ricordo di un’estasi mistica. 
Tuttavia non mancarono le donne che uscirono sconvolte da quella esperienza così inusitata.


RASPUTIN CONSIGLIERE E GUARITORE ALLA CORTE DEGLI ZAR
Rasputin a corte non si limitava a fare il mandrillo. 
 Il monaco indovinava segreti, operava guarigioni.
 Non erano solo le nobildonne ad essere affascinate da lui, anche vescovi ortodossi gli si rivolgevano con rispetto e lo ascoltavano quando interpretava il Vangelo.

Ad introdurlo negli ambienti della corte imperiale fu la moglie del granduca Nicola Romanov, da sempre appassionata di mistici ed occultismi. 
Ma il contadino siberiano seppe adeguarsi prodigiosamente alle esigenze di una vita sideralmente lontana da quella della sua estrazione sociale.
 La sua figura enigmatica da allora, come un’ombra, si allungò dietro le figure poste al vertice del grande Impero russo, un attimo primo della rivoluzione bolscevica.
Il contadino mistico venuto dalla Siberia sfoderò le classiche doti di una eminenza grigia: parlava sottovoce, alludeva con aforismi all’apparenza generici, conosceva l’arte di ritirarsi al momento opportuno. 
La sua strana capacità di mescolare sacro e profano in fondo si addiceva ad una corte che, impassibile alle rivoluzioni liberali dell’Ottocento, ancora ostentava un tono ieratico.

Il trono dei Romanov era il trono degli “Czar” ovvero dei “Cesari” eredi di Bisanzio, dunque dell’Impero Romano d’Oriente.
 Nella ideologia imperiale russa Mosca era la III Roma e lo Zar era il depositario di un potere teocratico che si stagliava sulla linea di confine tra Cielo e Terra.
A corte in breve tempo Rasputin si fece amici e nemici.
 Tra le file dell’aristocrazia crescevano le diffidenza per colui che rischiava di diventare il favorito della zarina e pertanto il consigliere segreto dello zar Nicola II. 
Ma a favore di Rasputin giocava un elemento determinante: quando lo starec era presente accanto al principe ereditario Alessio, le sue emorragie si arrestavano.
Al di là dei risvolti boccacceschi della vicenda, i biografi di Rasputin attestano lo straordinario magnetismo che la sua persona emanava: un “carisma” nell’attrarre gli individui e nel consigliarli in maniera enigmatica, ma pure efficace.

 Sarà proprio questo talento a introdurre il monaco siberiano nello scenario della grande storia. 
Per generazioni e generazioni le famiglie regnanti di Europa si erano intrecciate tra loro: l’altezzosa endogamia delle Altezze Reali giungeva a volte ai limiti dell’incestuoso. 
Così le tare genetiche si moltiplicavano e si incistivano. 
Dalla famiglia reale inglese, la dinastia dei Romanov aveva ricevuto per via indiretta la tara più terribile: quella dell’emofilia. 
Come una spada di damocle essa gravava sul fragile corpo dello zar evic Alessio, ponendo in dubbio il futuro della dinastia in anni che per la Russia si facevano sempre più tempestosi.
Dopo aver dato un contributo determinante alla sconfitta di Napoleone, nel corso dell’Ottocento la Russia mirava ad espandere il proprio impero in direzione del Mediterraneo, approfittando della decadenza dell’Impero Ottomano. 

Ma le potenze occidentali – con la guerra di Crimea – avevano dato un duro colpo alla espansione russa nel Mediterraneo.
 Anche nell’Asia Centrale, la Russia era entrata in collisione con potenze che si rivelarono più moderne e più efficienti nel confronto. 
Gli Inglesi impedirono a Mosca di avere parte in causa nel subcontinente indiano, i Giapponesi inflissero una umiliante sconfitta all’esercito zarista nel 1905. 
La debacle nella guerra russo-giapponese acuì al massimo i contrasti interni alla società russa.
Nella seconda metà del XIX secolo lo zar Alessandro II aveva cercato di imporre riforme su vasta scala per modernizzare la Russia. 
E proprio Alessandro II era morto in un attentato.
 Da allora si era verificata una escalation di tensioni tra gruppi di opposizione (di estrazione anarchica, populista e poi comunista) e gli ambienti che a corte premevano per la repressione di ogni forma di dissenso. 
Risulta tuttavia falsa l’immagine di una Russia immobile e soggetta a una barbarica autocrazia.

Anche in quegli anni il governo imperiale seppe esprimere figure valenti di statisti, come Sergej Vitte o Stolypin che si proposero di far uscire la Russia dall’impasse e di togliere argomenti ai contestatori promuovendo l’industrializzazione del paese, la creazione di grandi infrastrutture come la ferrovia transiberiana e soprattutto di promuovere un’ampia classe di medi borghesi e di piccoli proprietari terrieri aperti all’innovazione e fedeli all’autorità zarista.
Lo zar Nicola II che era asceso al trono nel 1894 aveva indole religiosa e anche un po’ fatalista.
 Si considerava l’interprete di un destino tragico che talora richiedeva l’affrontare dure prove con spirito di accettazione.
 I rovesci militari, le crisi interne che già nel 1905 avevano prodotto gravi spargimenti di sangue e non ultima la grave malattia del figlio maschio sembravano avvalorare questa sua percezione. 
Era stato proprio Nicola II ad affidarsi a Vitte e a Stolypin per cercare di risolvere i problemi del paese; ma nel frattempo l’opposizione al trono degli Zar cresceva e propugnava soluzioni sempre più radicali.

In questo contesto sociale il monaco Rasputin acquisì un peso crescente nella corte e una intimità in un primo momento impensabile con la famiglia imperiale.
 Rasputin chiamava Nicola II “babbo” e mamma la zarina Alessandra. 


RASPUTIN PER LA PACE. IL "PARTITO INGLESE" LO UCCISE
Al vertice dell’immenso impero slavo regnava una dinastia – i Romanov – che per generazione si era intrecciata con principesse provenienti da famiglie nord-europee. Tedesca era la moglie di Nicola II, danese la madre, tedesca la nonna, tedesca di Prussia la bisnonna.

 Forse per questo lo zar Nicola II si sentiva affascinato dal contadino venuto dalla profonda Russia: egli gli rivelava più di ogni altro i misteri del suo sconfinato impero. 
Del resto anche il primo ministro Vitte riconosceva a Rasputin la capacità di interpretare gli umori, le esigenze di una vasta moltitudine di sudditi: “Rasputin – diceva Vitte – conosce meglio di chiunque la Russia, il suo spirito e i suoi fini storici. 
Sa tutto questo per una sorta di fiuto”.
Il monaco non si limitava a piccoli intrighi, ma cercava di affermare una sua visione anche in relazione ai grandi problemi della politica estera. 
In quegli anni, Nicola II era al centro di una pluralità di pressioni internazionali contrastanti. 
Il suo indole religioso tendeva alla pace e per questo aveva promosso una inconcludente conferenza mondiale per il disarmo. 
Ma la sua epoca correva furiosamente verso la guerra. 
Il posizionamento della Russia poteva risultare determinante per il successo dell’uno o dell’altro degli schieramenti che si andavano componendo.

Sul finire dell’Ottocento si era profilata un’alleanza tra Germania, Austria e Russia: la cosiddetta “alleanza dei tre imperatori” ; affiancandosi alla “triplice alleanza” tra Germania, Austria e Italia questa intesa configurava un poderoso blocco continentale - euroasiatico.
 Il kaiser Guglielmo II si era spinto fino a proporre allo zar la creazione di una sorta di mercato russo-germanico in comune: le merci e le tecnologie tedesche sarebbero circolate verso est e da Oriente sarebbero venute le risorse naturali di cui la moderna industria aveva un bisogno sempre più impellente.
 Ma alla corte imperiale erano attivi anche gli ambasciatori e gli agenti di Francia e Inghilterra: alla fine essi riuscirono a collocare la Russia su una posizione più favorevole alle potenze occidentali.
In questa complicata trama lo starec Rasputin assunse posizioni pacifiste e filotedesche. Rasputin aveva capito che il gigante militare russo aveva i piedi d’argilla, che l’ingresso in guerra avrebbe solo favorito gli Inglesi e sarebbe stato pagato al prezzo di una crisi interna esiziale.
 Rasputin misteriosamente aveva intravisto il destino che si preparava per la Russia e per i Romanov: un destino rosso sangue. 
 Nel 1914 dopo l’attentato terroristico di Sarajevo che provocò la morte dell’arciduca ereditario d’Austria avvertì lo zar: “Nessuna stella più in cielo … Un oceano di lacrime … So che tutti pretendono la guerra, anche i più fedeli. 
Non sanno di correre come cavalli furiosi nell’abisso … La nostra patria mai ha patito un martirio come quello che ci attende. 
La Russia affogherà nel proprio sangue”.

Rasputin si spese per una posizione di neutralità della Russia. 
A questo punto il partito filo-inglese decise di eliminarlo. 
Quindici giorni dopo l’attentato di Sarajevo una donna lo accoltellò gridando di aver ucciso l’Anticristo. 
Ma Rasputin si rialzò in piedi, traendo forza da energie che davvero parevano sovrumane. 
Nel frattempo l’esercito russo subiva severe bastonate dai Tedeschi a Tannenberg e poi ai Laghi Masuri. 
Nel 1916 dopo l’ecatombe di un milione di soldati russi Rasputin ancora una volta si spese per una pace separata con la Germania.
 Per il partito filo-inglese a corte la morte di Rasputin (e la sua “damnatio memoriae”) diventava una necessità sempre più impellente.
 Eppure ucciderlo non fu tanto facile.
Dopo la fine del monaco, le cose andarono proprio come lui aveva predetto.
 Una tempesta di sangue avrebbe inghiottito la Russia a partire dalla infelice partecipazione alla Grande Guerra.
 Rasputin che era stato veggente e a suo modo aveva cercato di evitare la tragedia incombente fu descritto, in nome di interessi che poco hanno a che fare con la ricerca storiografica disinteressata, come una figura “diabolica” e nefasta.


LA MORTE DI RASPUTIN: UN RACCONTO IMPRESSIONANTE
 la descrizione precisa - non romanzata - dell'assassinio del monaco commissionato dagli ambienti filo-inglesi e interventisti alla corte degli Zar. 
Il racconto impressionante, a firma dello storico ed economista Geminello Alvi. 
“Il degenerato principe Jusupov la notte del 16 dicembre lo invitò a casa sua, promettendogli una gozzoviglia. 
Rasputin arrivò nella notte dal principe e si divertì come un bambino a far scattare i cassetti di un piccolo scrigno. 
Rifiutò all’inizio i biscottini che Jusupov gli offrì; ma poi ne mangiò. 
Erano al cianuro; ma non ebbero effetto. 
Il principe allora gli versò del madera in un bicchiere spalmato di veleno.
 Riuscì dopo a fargli bere altri due o tre simili bicchieri; ma lo starec seguitava indifferente ad aggirarsi nella sala. 
D’un tratto anzi Rasputin lo fissò con uno sguardo di odio assoluto e il femmineo Jusupov quasi svenne. 
Rasputin gli disse, facendogli l’occhietto, che gli piaceva la sua voce e di suonare la chitarra. 
Il principe allora gli sparò alla schiena. 
Cadde. 
Ma, mentre con gli altri congiurati Jusupov si felicitava, Rasputin, la bava alla bocca s’alzò in piedi: con un urlo selvaggio e le dita contorte gli finì addosso. 
Dovettero pure manganellarlo.
 Gli spararono altre quattro volte. 
Quando lo buttarono nel fiume era ancora vivo. 
Morì sotto il ghiaccio, ma solo dopo essersi liberato dalle corde.”





questa versione pero' e' contestata da alcuni, per cui vi forniamo alcune varianti
"Il principe allora gli sparò alla schiena." - errato! 
E' arcinoto, ormai, da alcuni anni, grazie alle ricerche dello storico russo Edvard Radzinskij (http://it.wikipedia.org/wiki/Edvard_Stanislavovič_Radzinskij) che ad uccidere Rasputin non fu il principe Jusupov, ma il granduca Dmitrij Pavlovič Romanov (http://it.wikipedia.org/wiki/Dmitrij_Pavlovič_Romanov). 
Solamente, visto che era un parente stretto dello zar e per coprire eventuali successioni future, fu deciso di diffondere la falsa notizia che responsabile dell'assassinio era il principe Jusupov.
Poi, c'è anche un'altra versione, molto verosimilmente, di depistaggio, secondo la quale ad uccidere Rasputin sarebbe stato l'agente segreto inglese Oswald Rayner (http://en.wikipedia.org/wiki/Oswald_Rayner).
E' tempo di sfatare i falsi "miti jusupoviani"! ;)
In quanto all'altra voce, secondo la quale il colpo di grazia a Rasputin, scappato nel panico dalla casa di Jusupov, venne dato da Vladimir Puriškevič (http://it.wikipedia.org/wiki/Vladimir_Mitrofanovič_Puriškevič), anche questa è stata sfatata dalle accurate ricerche di Radzinskij, che ha dimostrato, prove alla mano, che Puriškevič, a causa della sua miopia non sarebbe mai riuscito a prendere la mira né a tenere ferma la mano, non avendo la maestria militare del granduca Dmitrij Pavlovič Romanov.
Comunque, a conti fatti, negli ultimi dieci-quindici anni, messa parte la "pista Jusupov", ormai "demodé" e buona solo per i turisti in visita al Palazzo Jusupov (San Pietroburgo), anche in questo contesto (uccisione di Rasputin), prevale la logica degli schieramenti politici contrapposti: mentre in Russia, prove alla mano (fornite da Radzinskij) prevale la tesi "granduca Dmitrij Pavlovič Romanov", in Occidente prevale quella "Oswald Reyner", anche forse dietro una sorta di "orgoglio fuori tempo" di matrice britannica (della serie: "fummo noi ad eliminare Rasputin!").

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