Mesotelioma, la morte a orologeria dell’Eternit a Casale Monferrato
di Maria Mantello
«Guardi, qua, sotto questo baffo... qua, vede che bel tubero violaceo?
Sa come si chiama questo?
Ah, un nome dolcissimo, più dolce d'una caramella: Epitelioma, si chiama.
Pronunzii, sentirà che dolcezza: epitelioma... La morte capisce?
È passata.
M’ha ficcato questo fiore in bocca, e m’ha detto: – “tienitilo, caro: ripasserò tra otto o dieci mesi!”», fa dire Pirandello al protagonista del suo L’uomo dal fiore in bocca, che vive il dramma esistenziale di chi sa di avere la morte addosso.
Gli abitanti di Casale Monferrato (ma non solo), dopo aver visto morire i lavoratori dell’amianto per asbestosi – il tumore ai polmoni che si rivela dopo circa 13 anni –, vivono adesso nel terrore di aver contratto in massa il mesotelioma, inalando i maledetti filamenti cristallini per contatto indiretto.
Mesotelioma, un nome «più dolce d'una caramella»!
Un cancro subdolo, perché ti accorgi di averlo portato conficcato nelle carni dopo
un’incubazione di circa 30 anni.
Una morte ad orologeria innescata dalla cinica sete di guadagno della dirigenza Eternit, che ben sapeva dell’inquinamento mortifero che seminava.
Ma che adesso, per prescrizione, è stata assolta.
A Casale proprio non ci stanno.
Temono che spenti i riflettori sulla sentenza della Cassazione, che pur confermando le colpe di Stefan Schmidheiny (patron Eternit), tutto venga risucchiato nella tomba del silenzio.
L’Eternit di Casale era lo stabilimento più grande d’Europa e i filamenti cristallini dell’amianto si sono incuneati indistruttibili nei polmoni, ma anche nelle cellule che rivestono le cavità sierose del corpo (pleura, peritoneo, pericardio, ecc.) provocando in questi casi il mesotelioma che si prende – ripetiamo – anche per contatto occasionale con quella maledetta “polvere d’amianto” che i lavoratori portavano a casa con le loro tute, o che più banalmente seminavano come polline nell’ambiente, quando ad esempio andavano a tagliarsi i capelli.
Operazioni normali, gesti banali... ma la catena di montaggio della morte implacabile procedeva, meglio del cronometro della fabbrica.
Negli anni Settanta era tutto già noto ai padroni dell’Eternit che non hanno fatto nulla per evitare questo.
E il cui picco di mortalità si sta manifestando in questi anni e durerà fino al 2025 (cfr: Atti II Conferenza governativa sull’amianto, Venezia, 2012).
A Casale vivono nell’ansia per ogni colpo di tosse, per ogni spasmo all’addome... Un’angoscia tremenda, per chi ha già visto morire di eternit tanti.
Si sarebbero aspettati almeno Giustizia per tutto questo dolore, ma sono stati beffati.
Il “disastro ambientale doloso” c’è, e anche il nome del responsabile, Stefan Schmidheiny, La Cassazione lo ha confermato.
Ma lo ha assolto per prescrizione.
Proprio quella che in appello nel 2013 non gli era stata riconosciuta, confermando così i risarcimenti alle vittime per 89 milioni di euro, e portando gli anni di galera dai 16 del primo grado a 18.
Ci sono le centinaia di morti avvenute per amianto, c’è il dolo statuito, ma la spugna della prescrizione, riconosciuta nel terzo grado dalla Cassazione, salva il magnate dell’amianto.
Una vergogna, che ha indignato tutti, tanto che più di un politico adesso dice di volersi impegnare a rivedere la legge sulla prescrizione.
Non così per l’ineffabile Alfano, che forse inchiodato sulla lunghezza d’onda delle leggi ad personam e alla ricerca di consensi tra padroni e padroncini strumentalmente la difende, dichiarando in TV: «Credo che la sentenza Eternit abbia trasmesso un profondo senso di ingiustizia ma questo non deve travolgere i principi a garanzia delle singole persone: eliminare la prescrizione vuol dire ai giudici che possono scaricare l'inefficienza e la lentezza della giustizia tutta sul cittadino che può restare sotto processo per tutta la vita […] se dopo un certo, lungo lasso di tempo non riesce a dimostrare che sei colpevole non ti può lasciare appeso alla corda del processo per tutta la vita».
A Casale, tra il dolore e la rabbia crescente, c’è chi ripensa a quando negli anni Settanta la dirigenza dell’Eternit occultava il cancro da amianto invitando gli operai a “fumare di meno!”.
I sopravvissuti ricordano bene un volantino-comunicato del 1978: «Si è appurato che l’amianto può avere effetti cancerogeni, come il fumo di sigarette.
Invitiamo dunque i nostri dipendenti a smettere di fumare».
Sul nesso causale amianto-carcinoma già c’erano stati studi importanti tra il 1955 e il 1960.
Ma è dagli anni Settanta che quella relazione causale mortifera non è più possibile ignorarla: i morti non si possono non vedere e neppure le diagnosi.
C’è inoltre dal 1970 la conquista dello Statuto dei diritti dei lavoratori (legge 300/1970) che chiamava a pretendere nelle fabbriche il diritto costituzionale alla tutela della salute: «I lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare l'applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l'elaborazione e l'attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica» (art.9).
Allora quell’avviso dell’Eternit (l’amianto porta il cancro, ma intanto non fumate) nella sua sublime ipocrisia, serviva a smorzare l’allerta sindacale, sollecitando un fatalismo analogico di questo tipo: “Io fumo, ma non è detto che mi prendo il cancro ai polmoni, quindi continuo a fumare.
Può valere in fondo anche per l’amianto!”.
E il gioco era fatto, visti i lunghissimi tempi di incubazione di quella lana di vetro che intanto moltissimi già si portavano conficcata in corpo senza saperlo.
Qualche colpo di tosse?
L’amianto?
Ma va! fuma di meno!
Solo nel 1992, la legge 257 vieterà l’impiego dell’amianto, imponendo anche la bonifica delle aree contaminate.
Dopo anni di lotte e manifestazioni infinite, nel 2005 si arriva a far mettere i lucchetti all’Eternit di Casale Monferrato e a bonificare l’area che si estendeva fino ai comuni limitrofi per centinaia di milioni di mq.
Nel 1907, anno della fondazione dell’Eternit italiana a Casale, lo stabilimento di metri quadrati ne occupava 94000.
L’Eternit, che ha prosperato nel mondo col suo cemento-amianto dalle applicazioni multiformi, finanche nel design di poltrone e lampade supermoderne, chiudeva.
Ma la morte che ha conficcato in corpo a tanti continua a “fiorire” con quel cancro dal nome “più dolce d'una caramella”: mesotelioma.
Perché l’amianto e i suoi filamenti cristallini sono poco amici dell’ecologia non essendo biodegradabili.
Per paradosso, proprio di ecologia sembrerebbe occuparsi lo svizzero sessantacinquenne Stefan Schmidheiny (imputato nel maxi processo Eternit insieme al novantaduenne barone belga Louis de Cartier de Marchienne, che però è deceduto qualche settimana prima della sentenza d’appello).
Stefan Schmidheiny, patrimonio che sfiora i 2 miliardi di sterline britanniche, la passione per l’ecologia dice di averla scoperta fin da bambino: «Sono cresciuto in una fattoria con le vigne ... e le vacanze le facevamo nelle isole del Mediterraneo».
Stefan Schmidheiny, erede per quarta generazione dei magnati dell’amianto, dell’Eternit si occupa dal 1976.
Sua prima preoccupazione in quello stesso anno è chiamare a raccolta i dirigenti.
È il convegno di Neuss nella Renania settentrionale.
Una tre giorni dal 28 al 30 giugno 1976, dove viene anche stilato una sorta di prontuario di risposte da dare ai lavoratori sulla questione amianto.
Eccone due significativi esempi: “Mettiamo il cartello pericoloso?
No signori non è affatto necessario”.
“L’amianto porta il tumore?
Non è affatto vero!”.
Chissà se sia un parto del magnate svizzero il volantino-comunicato aziendale del 1978: «Si è appurato che l’amianto può avere effetti cancerogeni, come il fumo di sigarette.
Invitiamo dunque i nostri dipendenti a smettere di fumare»?
Se non lo è, c’è da dire che le maestranze dirigenziali di Casale sono andate ben oltre la raccomandazione del padrone, reiterata con insistenza a Neuss: «bisogna convincere che l’amianto non è pericoloso in sé».
Forse non tutti sanno che l’ecologista per passione Stefan Schmidheiny, nel 1982 ha acquistato in Cile da Pinochet centinaia di ettari di foreste.
Come altre terre, anche queste erano proprietà delle tribù Mapuche, che per questo continuano a esigerne la restituzione.
Pinochet – denunciano – gliele avrebbe sottratte con violenze e torture.
I mapuches, l’unica etnia sopravvissuta anche agli stermini e alle conversioni forzate dei conquistadores, hanno sempre dato filo da torcere ai prepotenti.
Hanno resistito e continuano a resistere!
E ne vanno orgogliosi.
Chissà se la passione per l’ecologia porterà Stephan Schmidheiny a rendere agli originari proprietari le terre di cui è diventato padrone grazie a Pinochet?
O magari – complici le multinazionali della deforestazione con cui sembrerebbe intendersela bene – la farà franca anche in questa occasione.
Magari per prescrizione?
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